Due settimane fa, le "gite della domenica" mi hanno portato alla volta di Mayanwa, piccolo villaggio di pescatori sul fiume, ad un'oretta di barca dalla città più vicina, Pyapon, e a circa sei ore da Yangon. Ad ospitarci i familiari di Ma Thwe, zia Daw Sein e zio U Thet, che nei pochi giorni passati lì ci hanno fatto da guida, mostrandoci un po' i dintorni.
Il villaggio di Mayanwa conta poche decine di persone, nell'area del delta dell'Ayeyarwady. La maggior parte delle abitazioni danno sul fiume, cosa che rende la barca il più efficiente mezzo di trasporto, col buono come col cattivo tempo.
I familiari di Ma Thwe si sono organizzati bene e portano avanti diversi affari: hanno un generatore con il quale ricaricano delle batterie d'auto che poi affittano alle diverse famiglie - e sono gli unici a fornire questo servizio; commerciano in legno di bambù e in noci di betel, che periodicamente vengono portate nei mercati di Yangon. Hanno anche una coltivazione di palme da cocco. Per trasportare tutta questa roba nei diversi mercati stavano facendo costruire proprio in questi giorni una nuova barca da adibire al trasporto.
Con gli operai siamo diventati subito amici, anche se ci si esprimeva solo a gesti. Immagino che la mia presenza sia stata anche sfruttata un paio di volte per scampare alle noie del lavoro, dato che capitava spesso che si aggregassero a noi, seguendoci nei giri nei dintorni che ci hanno portato fino alla foce - di fronte l'Oceano del Golfo del Bengala.
Mi hanno detto che le acque migliori per avere dell'ottimo pesce sono proprio queste, dove acqua marina e acqua dolce si mescolano. Durante tutto il viaggio uno dei nostri accompagnatori si era messo in testa di spiegare a noi ignari ragazzotti di città tutti i segreti della pesca sul fiume e sul mare: che tipo di reti usano, che tipo di barche, dove rivendono il pesce, ogni quanto escono, i problemi con la polizia locale, la crisi dopo il ciclone, e quant'altro. Avrò capito un terzo delle cose che diceva, e solo grazie alle traduzioni estemporanee di nonna San, che ogni tanto si affacciava sulla prua, per rintanarsi dopo pochi minuti di nuovo sottocoperta.
La pagoda locale non è raggiungibile in barca, ma ci si può avvicinare parecchio e poi proseguire a piedi. Tutto intorno sterminati campi di riso, e dentro il complesso della pagoda, immancabili le statue degli spiriti locali, i nat del gruppo etnico dei Karen, che da queste parti costituisce una bella fetta di popolazione.
Già che c'ero ho fatto qualche domanda di tipo "etnomusicale", tanto per vedere se all'amo abboccava qualcosa, ma le risposte sono state tutte negative: a quanto mi hanno detto, le occasioni in cui si suonava - nat pwe, funerali e matrimoni - si sono gradualmente trasformate, non lasciando alcuno spazio alla musica tradizionale. Negli ultimi vent'anni "la vita è cambiata", per citare zio U Thet: la lenta ma inarrestabile crisi economica ha fatto sì che a partire dagli anni novanta diventasse sempre più difficile pagare musicisti e orchestra necessari per i rituali. A stroncare definitivamente ogni possibilità di ripresa il ciclone Nargis, che appena sei anni fa ha messo in ginocchio praticamente tutta la regione. Ora solo alcuni tra i più facoltosi pescatori di Pyapon possono permettersi di organizzare - e solo annualmente - un nat pwe, chiedendo la protezione degli spiriti per la stagione di pesca.
Dovrò inventarmi un'altra scusa per tornare da quelle parti, anche solo per godermi la notte e quelle stelle chiare e luminose come non ne avevo mai viste.
Alle stelle viste da lì sarei interessato anche io.....
RispondiEliminaUau.
RispondiElimina