mercoledì 4 dicembre 2013

a day in the life: partenza, ritorno

A una settimana dal rientro in patria, mi approccio all'ultimo intervento. Inizialmente avevo pensato di scrivere una specie di conclusione che cercasse di esprimere un po' tutto quello che ho visto (e sentito) da queste parti. Poi però mi è balenata in mente l'immagine degli annuari scolastici "all'americana", del tipo "non dimenticherò mai..." e ho deciso di lasciar perdere - anche perché la cosa non è fattibile, quantomeno non nello spazio risicato di un blog.
 
Di conseguenza, continuo come se niente fosse, raccontando questi ultimi giorni passati soprattutto alla caccia di souvenir a destra e a manca. Ci sono principalmente due posti per questo tipo di acquisti, e uno è il cancello est della imponente Shwedagon Pagoda, dove botteghe di intagliatori lavorano incessantemente a statue di spiriti, alchimisti, buddha e quanto di più strano offre la religiosità birmana.
 

 
 
Il mercato si sviluppa all'esterno e all'interno della scalinata che porta al sito religioso vero e proprio. Per salire i gradini bisogna togliere le scarpe, e turbe di bambini armati di buste di plastica gridano "for de scius", approcciando i diversi turisti e chiedendo qualche contributo per l'inappuntabile servizio.
 
L'altro posto per gli acquisti è il Bogyoke Aung San Ze, mercato centrale che porta il nome del veneratissimo eroe nazionale Aung San: miglior posto per acquistare le pietre preziose che rendono famosa la Birmania in tutto il mondo, in questo edificio di epoca coloniale è possibile trovare anche botteghe artistiche di vestiti, statue e pietre, come pure cianfrusaglie varie, bigiotteria, cartoline e quant'altro.
 


 
Sto anche continuando sporadicamente a turisteggiare, e la settimana scorsa sono andato al Museo Nazionale di Yangon, dove per entrare è necessario lasciare ogni apparecchio elettronico, apparentemente per non meglio specificati motivi di sicurezza. Sono riuscito ad eludere i controlli e a portare dentro la macchina fotografica, così da potermi cimentare in qualche eroico scatto clandestino.

 
 
Museo gigantesco, stracolmo di cose da vedere: imperdibile il trono utilizzato un tempo per le questioni giudiziarie dalla ormai estinta stirpe reale birmana, che fa davvero un certo effetto, ma anche reperti archeologici, strumenti musicali, marionette, arte contemporanea hanno decisamente il loro perché.
 
Acquisti e turismo a parte, mi rimangono molti giorni liberi dato che il mio interprete è troppo impegnato per darmi retta con le ultime interviste. La mia presenza ai nat pwe rimane comunque regolare, e dato che la telecamera rimane ormai a casa, il livello di partecipazione cresce: la settimana scorsa sono stato tirato ancora una volta in mezzo alle danze, questa volta vestito di tutto punto.
 
 
Un sorriso smagliante. E ballando (ma "saltare" sarebbe più corretto) senza poter vedere niente (niente occhiali) ho quasi calpestato diverse persone. Sono stato ripreso dal (fortunatamente scarso) pubblico - un'esperienza nuova dato che fino ad adesso ero io quello dietro la macchina da presa.
 
I medium ci tengono a far sapere a "ol ior frends, ol ior frends" che fibbia e corona sono di oro vero.
 
Tra poco sono a casa.


domenica 24 novembre 2013

Cambogia

L'ultimo rinnovo del visto per rientrare in Birmania mi ha portato a Phnom Penh, in Cambogia. Divorata dai colossi economici sudcoreani e occidentali, i segni si riconoscono tutti: sopravvivono piccoli ristoranti da strada e ovviamente gli immancabili tuk-tuk - unico mezzo di trasporto. Ma a farla da padroni sono grandi costruzioni, ruote panoramiche e parchi di divertimento, centri commerciali, ristoranti e pub gestiti e frequentati esclusivamente da occidentali.
 
 
Arrivato, ho passato solo due giorni nella capitale (ritornerò domani per ritirare il visto), giusto il tempo per un paio di giri nel centro e al museo nazionale, dove le statue del Buddha e di divinità induiste sono oggetto di culto da parte dei locali, che portano omaggio con fiori e incenso.
 
 
Dopo aver consegnato il passaporto all'ambasciata birmana, in attesa delle pratiche burocratiche mi sono spostato a Siem Reap, città dalla quale è possibile raggiungere il parco archeologico di Angkor. Le strade del centro, intorno al mercato, sono piene di negozi e pub. Spesso è possibile vedere la gente di qua divertirsi a giocare con strani sport a metà tra calcio, tennis e chissà cosa altro.
 
 
 Da Siem Reap, otto chilometri in bicicletta per arrivare al tempio più vicino, Angkor Wat, e svariati altri chilometri per raggiungere gli altri templi dell'area centrale. L'intera area archeologica è vastissima, e visitarla tutta ncessità un certo numero di giorni, nonché una certa dose di volontà per sopportare il caldo.
 




 
Impossibile descrivere in breve i molti templi: nell'area centrale più visitata, tra i principali e imperdibili Bayon, Ta Prohm, Preah Khan. Alcuni sono stati appositamente lasciati in balia degli elementi naturali, diventando un tutt'uno con la fitta vegetazione circostante. Onnipresente il frinire dei grilli. Alcune costruzioni sono immense, altre più piccole, e a volte è possibile arrampicarsi sulle macerie, raggiungendo posizioni più panoramiche.
 
La presenza turistica è massiccia, e spesso bisogna sgomitare per riuscire a farsi strada tra angusti passaggi e irte scalinate. Phnom Bakheng, sulla sommità di una collina da cui si può avere una visione panoramica dell'area circostante, è il posto più "quotato", specialmente al tramonto.


La vita per un turista in Cambogia è davvero semplice: a parte la confusione che può creare l'utilizzo della doppia valuta - riel cambogiani e dollari statunitensi, entrambi accettati da tutti i negozi e gli ostelli - non ci sono difficoltà e ci si può muovere liberamente e con facilità. La vita non costa molto e allo stesso tempo di può trovare tutto quello di cui si ha bisogno per non sentirsi troppo lontani da casa - e nonostante l'avvicinamento all'occidente, la Cambogia e Phnom Penh mantengon ancora parecchio dell'aspetto sud-est asiatico, con le sue architetture e i suoi spiriti.




Detto questo, negli anni Ottanta il punk californiano aveva ovviamente ragione.
 

lunedì 18 novembre 2013

feste e festival

Anche se il monsone sembra non essersi del tutto deciso ad andarsene, e ci concede ancora qualche scroscione, la stagione delle piogge è ufficialmente terminata qualche settimana fa. Per l'occasione si celebra il Thadingyut festival, il giorno di luna piena, anche se in realtà le "vacanze" prendono tutta quanta la settimana: mercatini, giostre, e chiusura dei negozi (almeno nel giorno "ics") - ma soprattutto accensione di luci praticamente dovunque, per dare il benvenuto al Buddha, di ritorno dall'equivalente del nostrano Paradiso.
 
Se ormai la maggior parte delle persone si è adattata all'uso di lucette elettriche multicolori, a volte è ancora possibile trovare qualcuno che usa le candele. E' il caso questo della scuola di musica Gitameit, a pochi minuti da casa mia, dove il direttore Htun Htun quest'anno ha deciso di festeggiare "come si faceva una volta", con stoppini e olio. Dato che mi trovavo nei paraggi, sono andato a dare una mano.
 
 
La visita alle varie pagode è ovviamente d'obbligo: ogni birmano degno di questo nome va a quella che preferisce, porta ovviamente omaggio al Buddha e poi lascia accese un po' di candele in corrispondenza dell'altare dedicato al proprio giorno di nascita, a ognuno del quale è associato un diverso animale. Funziona un po' come lo Zodiaco: essere nati in quel determinato giorno significa avere un carattere specifico, espone all'influenza di corpi celesti, trova affinità o divergenze con altri segni. Essendo nato di sabato, il mio segno è il naga, una specie di drago marino. Condividendo il mio segno con nonna San Myint, abbiamo acceso un po' di candele insieme, che però si sono subito afflosciate.


Superato il Thadingyut i giochi non sono affatto chiusi: a partire grossomodo da ottobre, ogni mese, ad ogni luna piena, viene celebrato un festival: la relativa raccolta fondi viene effettuata nei giorni precedenti, da alcuni rumorosi gruppi mascherati sparsi per tutta la città. Per esempio, il gruppo Shwe Toe Maung, traducibile alla buona con "otteniamo molto oro", lo si riconosce dal pupazzone del bufalo:

 .
Se il Thadingyut è il più "sentito" religiosamente, i festival successivi non sono da meno a livello di divertimenti e mercatini vari, che ancora una volta si concentrano quasi sempre all'interno dei complessi delle pagode. Non mancano le giostre che, invece di essere azionate da motori, vengono fisicamente spinte dai giostrai, i quali tirano e mollano per far dondolare la classica nave dei pirati, o si arrampicano sui ferri della ancora più classica ruota panoramica, fungendo da pesi e contrappesi umani, per farla girare.

 
L'altro giorno era dunque il secondo festival di luna piena, Tansaung Taing. Come ogni antropologo ed etnomusicologo che si rispetti, i giorni di festa degli altri sono quelli in cui si lavora: ho passato infatti la giornata con la telecamera in mano, a casa del medium U Aunt Ming e di sua moglie Daw Min Zin Aung, che per l'occasione hanno ospitato un nat pwe, nel mezzo del quale sono stato tirato pure io.
 
 
Nonostante avessero suonato per sette ore di seguito, al termine del nat pwe i musicisti hanno continuato a suonare per accompagnare l'albero delle offerte (kahtein), pieno di doni, al vicino monastero, facendosi strada tra la folla con canzoni, balli e ironia al limite del demenziale.
 
 
Stando al calendario buddhista e alle indiscrezioni dei locali, ci sono altri grossi festival in arrivo, tutti a scadenza mensile. Insomma, feste su feste in Birmania.
Gente allegra, Dio l'aiuta [cit.].

venerdì 15 novembre 2013

a day in the life: Mayanwa

Due settimane fa, le "gite della domenica" mi hanno portato alla volta di Mayanwa, piccolo villaggio di pescatori sul fiume, ad un'oretta di barca dalla città più vicina, Pyapon, e a circa sei ore da Yangon. Ad ospitarci i familiari di Ma Thwe, zia Daw Sein e zio U Thet, che nei pochi giorni passati lì ci hanno fatto da guida, mostrandoci un po' i dintorni.
 
 
Il villaggio di Mayanwa conta poche decine di persone, nell'area del delta dell'Ayeyarwady. La maggior parte delle abitazioni danno sul fiume, cosa che rende la barca il più efficiente mezzo di trasporto, col buono come col cattivo tempo.
 

 
I familiari di Ma Thwe si sono organizzati bene e portano avanti diversi affari: hanno un generatore con il quale ricaricano delle batterie d'auto che poi affittano alle diverse famiglie - e sono gli unici a fornire questo servizio; commerciano in legno di bambù e in noci di betel, che periodicamente vengono portate nei mercati di Yangon. Hanno anche una coltivazione di palme da cocco. Per trasportare tutta questa roba nei diversi mercati stavano facendo costruire proprio in questi giorni una nuova barca da adibire al trasporto.
 
 
 
Con gli operai siamo diventati subito amici, anche se ci si esprimeva solo a gesti. Immagino che la mia presenza sia stata anche sfruttata un paio di volte per scampare alle noie del lavoro, dato che capitava spesso che si aggregassero a noi, seguendoci nei giri nei dintorni che ci hanno portato fino alla foce - di fronte l'Oceano del Golfo del Bengala.
 

  
Mi hanno detto che le acque migliori per avere dell'ottimo pesce sono proprio queste, dove acqua marina e acqua dolce si mescolano. Durante tutto il viaggio uno dei nostri accompagnatori si era messo in testa di spiegare a noi ignari ragazzotti di città tutti i segreti della pesca sul fiume e sul mare: che tipo di reti usano, che tipo di barche, dove rivendono il pesce, ogni quanto escono, i problemi con la polizia locale, la crisi dopo il ciclone, e quant'altro. Avrò capito un terzo delle cose che diceva, e solo grazie alle traduzioni estemporanee di nonna San, che ogni tanto si affacciava sulla prua, per rintanarsi dopo pochi minuti di nuovo sottocoperta.
 
La pagoda locale non è raggiungibile in barca, ma ci si può avvicinare parecchio e poi proseguire a piedi. Tutto intorno sterminati campi di riso, e dentro il complesso della pagoda, immancabili le statue degli spiriti locali, i nat del gruppo etnico dei Karen, che da queste parti costituisce una bella fetta di popolazione.


 
Già che c'ero ho fatto qualche domanda di tipo "etnomusicale", tanto per vedere se all'amo abboccava qualcosa, ma le risposte sono state tutte negative: a quanto mi hanno detto, le occasioni in cui si suonava - nat pwe, funerali e matrimoni - si sono gradualmente trasformate, non lasciando alcuno spazio alla musica tradizionale. Negli ultimi vent'anni "la vita è cambiata", per citare zio U Thet: la lenta ma inarrestabile crisi economica ha fatto sì che a partire dagli anni novanta diventasse sempre più difficile pagare musicisti e orchestra necessari per i rituali. A stroncare definitivamente ogni possibilità di ripresa il ciclone Nargis, che appena sei anni fa ha messo in ginocchio praticamente tutta la regione. Ora solo alcuni tra i più facoltosi pescatori di Pyapon possono permettersi di organizzare - e solo annualmente - un nat pwe, chiedendo la protezione degli spiriti per la stagione di pesca.
 
Dovrò inventarmi un'altra scusa per tornare da quelle parti, anche solo per godermi la notte e quelle stelle chiare e luminose come non ne avevo mai viste.

lunedì 4 novembre 2013

a day in the life: momenti morti e lezioni di musica

Non ci si pensa mai, ma buona parte del tempo passato a fare "ricerca sul campo" consiste in momenti morti. Personalmente si tratta di un misto di ansia, e voglia di concludere tutto in una settimana (aspettativa prontamente disattesa dagli incontrollabili eventi); altre volte invece si guarda il calendario e si contano i giorni, magari cercando di fare dei programmi; ma ero stato avvertito che la maggior parte delle volte l'atmosfera sarebbe stata più o meno questa:
 

Fortunatamente vengono in aiuto le lezioni di musica che sto prendendo: almeno due ore ogni giorno passano suonando. I risultati sono scarsini, dato che sto approcciando all'ennesimo nuovo strumento, l'oboe hnay.


Nella foto io e il mio maestro (saya) U Ohn Htay, che con pazienza infinita mi sta dando qualche rudimento (il fedele registratore audio è una presenza decisamente rassicurante...). La prima canzone che mi è stata insegnato ha un nome che ancora non capisco come scrivere: questa canzone è conosciuta praticamente da chiunque, e viene insegnata a tutti i musicisti alle prime armi, si tratti di suonare l'oboe, tamburi o gong.
 
Vorrei approcciare anche al tamburo più grande (pa'ma) dell'orchestra hsaing, così da avere un quadro sia della parte ritmica che di quella melodica - e se riesco a farmi un'idea dei costi di spedizione vedo di portarmene uno a casa. Per farci cosa non so, dato che le lezioni di tamburo vengono rimandate ormai da un mese, assieme alle interviste per la ricerca e a molte altre cose. L'orchestra di U Win Hlaing è sempre occupata a suonare da qualche parte, e quando sono liberi loro manca l'interprete, altre volte sono io che non ci sono. E si torna quindi alla questione di cui sopra - un circolo vizioso.
 
Interviste a parte, sono davvero pieno di materiale. Un paio di settimane fa c'è stato un importante rituale a Yangon, a casa di un'astrologa (molto ricca) che ha ingaggiato l'ormai noto medium con orchestra a casa propria, per due giorni di musica, danza e crisi di possessione. Il fatto che tutto avvenga in un contesto assolutamente urbano rende la cosa solo più interessante: folle di curiosi si affacciano dal vicolo, sbirciando la situazione, i bambini si infilano dovunque, nella speranza di prendere al volo le banconote lanciate in aria con fare beneaugurante. La musica è continua, i tamburi sostengono il ritmo ossessivamente, i gong e l'oboe portano avanti la linea melodica, i cantanti urlano nei microfoni, la folla incita le danze del medium.
 
 
Penso che dovrò descrivere tutto questo per la tesi, e non in quattro parole. Sinceramente non so da che parte cominciare: gli aspetti da trattare sono infiniti. La cosa più interessante di questo specifico evento è che, durante le danze, i medium hanno iniziato a parlare non con la propria voce naturale, ma con un una vocetta stridula, segno che la possessione era completa: era lo spirito (nat) a parlare e a chiudere ai musicisti di eseguire alcune canzoni piuttosto che altre. Si era venuta a creare un'intesa tra le diverse componenti - musicisti, medium/danzatori e pubblico/devoti - ad un livello che nelle altre occasioni non avevo mai visto.
 
Mi sono dilungato su questioni etnomusicologiche un po' "tecniche", vabbè. Almeno non mi si dirà che scrivo sempre le stesse cose.

giovedì 10 ottobre 2013

a day in the life: gite della domenica

[nuovo avviso: fatto. A quanto pare le foto si caricano una volta che scocca la mezzanotte. Prima non si riesce. In ogni caso ho lasciato le descrizioni delle foto prima mancanti, ad eterno monito]

[avviso: pare che la connessione internet abbia deciso io oggi io non possa caricare foto. Siccome però ormai ho scritto già tutto, ed è pure un bel po' che sto qua davanti, ho deciso che per il momento inserisco una breve descrizione di quella che doveva essere una fotografia. Magari più avanti ci riproverò.]


Sembra che ormai le domeniche siano state elette dalla mia famiglia a "giorno in cui si porta fuori Lorenzo". Non che non vada in giro già abbastanza – anzi, giro fin troppo tra musicisti, orchestre, medium, costruttori di tamburi: se però il primo invito ad accodarmi all'allegra bigata per un po' di "sightseeing" era stato timido, ora le uscite sembrano essere diventate una costante al punto tale che le prossime le stiamo addirittura programmando (!).

[Foto 1: l'"allegra brigata" alla stazione di Talà, in attesa del traghetto di ritorno - Ma Thwe, San e quelli che io chiamo "i ragazzi"]

 
Due settimane fa è stata la volta di Talà, piccola e affolattissima stazione degli autobus che collega Yangon con i villaggi dei dintorni, dove Ma Thwe doveva sbrigare alcuni non meglio precisati "affari". Per arrivarci abbiamo preso il traghetto dal molo di Pansodan (tariffa maggiorata per i forestieri) e in dieci minuti di viaggio abbiamo attraversato lo Yangon River.

[Foto 2: ormeggio delle hlay, come specificato anche nel corpo del testo]
 

Nella foto le tipiche imbarcazioni del posto, la hlay birmana: sembra che offrano un qualche servizio taxi tra le due rive, sfruttato perlopiù dai locali. Studiando qua e là ho trovato anche una specie di accorata descrizione di queste barche: l'autore è U Khin Zaw, un birmano che scrive negli anni '80 sulla cultura del proprio in paese. Traducendo dall'inglese:

Queste barche sfiorano la superficie dell'acqua. Nessuno dei suoi remi spezza le onde in maniera brutale. Sfiorano come se fossero canoe, ma le canoe sono fatte per la velocità. Queste barche invece no. Queste barche sono semplicemente di ottima fattura, e a questa si accompagna la tipica cortesia di noi birmani. Scivolano così facilmente da sembrare felici, ed ugualmente sembra esserlo l'acqua che scorre senza fretta sotto di esse. Ecco la vera unione di acqua e imbarcazione: sembrano essere innamorati, e l'unione è tale che la violenza è fuori discussione.

Tanto per dire che nel sudest asiatico non è che esista solo il sampan thailandese.

Pioveva a dirotto, e all'uscita del traghetto sono stato praticamente preso d'assalto dai molti tassisti di risciò, che sono arrivati anche a strattonarmi un pochino (meno male che avevo le guardie del corpo). Dall'altro lato del fiume grigi e umidi gli edifici della Downtown (ma la foto è venuta male e non la metto), e i cantieri navali del porto commerciale.

[Foto 3: toccante e commovente foto sulla "Yangon-che-cambia", con le gru del moderno porto in lontananza e le piccole e insignificanti barchette a remi ormeggiate]


Domenica scorsa invece è stato come andare a messa – o almeno, la sensazione era quella. Abbiamo raggiunto la Kaba Aye Pagoda, annessa alla quale si trova la sede di Yangon della State Pariyatti Sasana University. Si tratta di un'università per monaci molto esclusiva: per accedere è necessario superare un difficile test di ingresso (ovviamente relativo a conoscenze buddhiste), i posti sono limitati a 400, l'unica altra sede si trova a Mandalay. I monaci (di tutte le età, ma da quanto ho visto in prevalenza abbastanza giovani) studiano anche inglese e informatica, e si sostentano grazie al supporto delle famiglie laiche, che li "adottano". Ecco dunque spiegato il motivo della nostra visita: un incontro con Ashin Vilasa, "figlio adottivo", e seguente donazione pubblica a tutta la comunità.

[Foto 4: me, Ashin, Ma Thwe e San nella sala del Dhamma dell'università, dopo aver elargito la carità ai monaci. Divertente, noto ora che siamo in ordine di altezza, ma senza foto ovviamente non si vede. Vabbè]


La mia famiglia era abbastanza ansiosa di farmi conoscere Ashin, dato che parla bene l'inglese; inoltre volevano anche farmi vedere questo complesso universitario, dato che "là è pieno di studenti come te".

[Foto 5: il corridoio esterno su cui da' la camera di Ashin, con i vestiti dei monaci appesi ad asciugare]

 

A vedere i corridoi con tutti gli abiti color zafferano dei monaci stesi ad asciugare, e sentire ripetere ad alta voce le lezioni di inglese con lo stesso tono di voce con cui si ripetono le preghiere, non è che abbia trovato molto in comune con l'ambiente dell'università romana. Il posto è bello e tranquillo, e c'è anche annesso un laghetto dove, essendo rigorosamente vietata la pesca (precetti buddhisti), i numerosi pesci-gatto vengono nutriti con generosi pezzi di pane, raggiungendo devo dire dimensioni ragguardevoli.

Dopo la cerimonia della donazione è seguito il pranzo (faccio notare che erano appena le 10 del mattino: i monaci dopo le 12 possono solo bere acqua o succhi di frutta), quindi siamo ritornati nell'alloggio di Ashin. Come segno di "arrivederci" mi ha regalato il "Vinaya", il canone delle leggi buddhiste, ovviamente in inglese. Senza parole per la gentilezza, come al solito.

[Foto 6: foto del pranzo comune offerto dai monaci, con me e San famelicamente in primo piano]


Già che c'eravamo ci siamo fermati alla Kaba Aye pagoda (anche perché Ma Thwe non c'era mai stata): la Lonely Planet la definisce "disneyana", e in effetti c'è una specie di enorme piscina dove la gente cerca di lanciare monetine (senza valore, qui) dentro a dei vasi, mentre sullo sfondo si muovono dei pupazzoni meccanici in adorazione del Buddha. A parte questo, il centro della costruzione ospita una statua a tutto tondo del Buddha davvero magnifica, e direi decisamente preziosa.

[Foto 7: lo sfondo con i pupazzoni che dicevo. Meglio ancora della foto sarebbe stato il video. Nemmeno ci provo]

[Foto 8: la statua del Buddha]
 


Sempre nei dintorni c'è la Mahapasana Cave, che come dice il nome consiste in un'enorme sala ricavata da una caverna naturale. Viene utilizzata per i "sinodi" buddhisti e altre importanti cerimonie, ma a parte la vertiginosa altezza del soffitto offre ben poco (quindi niente foto).

Mi sono sbilanciato stavolta: addirittura due foto con me dentro.
 
Parallelamente a tutto ciò, ci tengo a sottolineare che la ricerca va bene. Un piccolo aneddoto, tanto per: la settimana scorsa sono capitato casualmente ad un rituale, e il figlio dei medium mi ha detto entusiasta "vieni, vieni domani, che rifacciamo tutto e ci sarà pure la televisione!". Armi e bagagli, il giorno dopo torno. E non c'è niente. Forse domani, mi dice. Me ne vado sconsolato. Passa il tempo, e giusto l'altro giorno, attraverso un giro di persone che non sto a spiegare, mi viene detto che è un ubriacone e un contaballe, poco affidabile e assolutamente da non prendere in considerazione.

L'etnomusicologia è una gran faticaccia.

martedì 24 settembre 2013

Monte Popa e Bagan

Ancora una volta ho seguito la mia orchestra di musicisti e il medium U Win Hlaing in giro per il Paese. Questa è stata la volta del Monte Popa, sorta di Olimpo birmano dedicato agli spiriti locali, più o meno nei pressi di Mandalay. Questo festival era però dedicato agli alchimisti locali (weikza), gente che ha trovato il modo di prolungare la durata della propria vita in attesa della venuta del futuro Buddha. Unito al culto animistico dei Nat, come sempre celebrato con musiche e danze di cui mi sto interessando, ci si può fare un'idea del sincretismo religioso che si respira da queste parti.




Il villaggio di Popa (traducibile, da quanto ho capito, più o meno con "fiorito") si sviluppa intorno alle pendici dell'omonimo vulcano, ora parco nazionale. Negozi, ristoranti, e ovviamente amplificatori con la musica a tutto volume. Nelle strade confusione e continuo viavai di gente, nonchè scimmie. Scimmie ovunque.


 

Salendo si accede al santuario dedicato ai Nat: immagini del Buddha e di questi spiriti si mischiano con persone che salgono lentamente le scale, incuranti dei rumorosi e improvvisi salti delle scimmie sui tetti di lamiera, i quali offrono senza troppo successo una tregua dal caldo opprimente. Dalla cima si gode un'ottima vista dei dintorni boscosi e montagnosi, si sente la musica salire dalla valle e rimbalzare sui fianchi della montagna.

 
 
Impossibile non fare anche una visita alla vicina Bagan, il sito archeologico più importante della Birmania: si tratta di una valle piena di rovine di templi buddhisti, risalenti più che altro ai tempi d'oro della monarchia (12-13 secolo d.C.), eretti dai re al fine di maturare "merito" (e rallentare dunque la corsa delle reincarnazioni) e distrutti da invasioni mongole, terremoti e generale incuria.



 
Nonostante l'antichichità, Bagan è un sito religioso attivissimo: persone recano omaggio al Buddha nei templi principali, dove è possibile notare una certa presenza turistica; ma abbondano ovviamente anche templi un po' più dimessi – ma non per questo meno grandiosi – dove si può stare in pace a sopportare il leggendario caldo ustionante. Girando in bicicletta nella pianura sono riuscito anche a trovare questa pagoda con un buco nel muro, e ovviamente mi ci sono infilato, arrampicandomi sulla parete esterna, armato di torcia elettrica. Era pieno di pipistrelli. Per qualche minuto mi sono sentito un po' Indiana Jones.

 
Andando qua e là ho incontrato anche dei ragazzi birmani più o meno della mia età: si stavano esercitando con la tradizionale arpa (saung), ho sentito la musica e mi sono aggregato a loro per un paio di giorni. Mi hanno presentato il loro maestro e ho anche potuto registrare un paio di canzoni. Il posato ed elegante repertorio della musica "da camera" della corte birmana, in cui l'arpa svolge il ruolo principale, è decisamente distante dalle rumorose e percussive sonorità dell'orchestra di tamburi e gong dei rituali per i Nat. Un altro esempio di quanto la cultura di questo Paese sia affascinante e complessa.
 
 

Quattro giorni di relax, dunque, e non che non me li sia guadagnati. A onor del vero, riporto anche la cronaca del mio turbolento arrivo in questi lidi.
 
Sono arrivato alle 3 del mattino a Kyauk Padaung, che la mia famiglia adottiva mi aveva assicurato essere una città. Invece è poco più di un villaggio, due strade in croce e su una c'è la fermata del mio autobus notturno. A momenti rischio pure di non scendere, dato che mi aspettavo di arrivare in un posto decisamente diverso.

Scendo, addento famelico il mio panetto dolce al burro, preventivamente acquistato. Il tipo dietro al bancone che registra gli arrivi mastica un po' di inglese, gli chiedo se conosce un posto dove posso dormire. Ce n'è uno, chiama, ma è tutto pieno: c'è il festival al Monte Popa (vicinissimo con il bus, motivo per cui volevo dormire in questo villaggio), quindi tutto esaurito. Fa un altro paio di chiamate, ma niente. A un certo punto un tipo ha una brillante idea: voglio dormire in un monastero? Ovviamente la risposta è si. Monto su un mototaxi e vado. Già pregustavo il ritmo di vita monastico.
 
Invece niente, per qualche motivo al monastero non ci posso dormire. Torno indietro, nelle mani dei tassisti, che mi dicono che per 5000ks mi portano in un hotel dove posso dormire per 5 dollari. E proviamo, dico io. Mezz'oretta di taxi nella notte, in mezzo a strade buie, piene di buche e curve. C'è stato anche un non poco chiaro cambio di taxi (mi hanno fatto scendere da uno e salire su un altro), a un certo punto ho pure inziato a sospettare cose brutte. Eravamo in mezzo al nulla totale. Freddo. Stanchezza. Invece questo mi porta all'hotel.
 
Super hotel. Stanze da 50 e 100 dollari. Non se po' fa. Già che ci sto, approfitto della disponibilità del receptionist e faccio chiamare un altro hotel: stessa storia, stanze da 95dollari. Dato che sembra non esserci modo di dormire a Kyauk Padaung o a Popa, opto per il piano b: abbandonare il paesino e andare nella città segnalata da Lonely Planet, Nyaung U. Per sicurezza prima faccio chiamare dall'hotel alla "Winner" guest-house, e "prenoto", 12 dollari a notte e nessuna idea di dove questo posto sia.
Baibaitenchiu.
Rimonto sul taxi, si ritorna a Kyauk Padaung, destinazione: fermata del bus, perchè Nyaung U è lontano, e in mototaxi costa davvero troppo. Stessa strada al contrario, sono le 4 di mattina ormai.
 
Tornati, e il tassista vuole 10000ks invece di 5000 perché – sostiene - mi ha pure riportato indietro. Come se lui avesse intenzione di dormire all'hotel. Mi altero un pochino, faccio notare che sono stanco, ho sonno, non ho ancora un posto dove stare nonostante i vari consigli, e la tariffa del ritorbo scende a 2000ks. Pago, basta che la finiamo. Una volta pagato il tassinaro diventa il mio migliore amico, mi fa vedere dei video musicali, aspetta il bus con me. Dice che passa alle 5. Alle 5 e un quarto lui se ne va, io aspetto con altre due persone. Rischiara. L'autobus passa alle 6, si ripresenta il tassinaro che mi da una mano (abbastanza inutile) a prendere il bus, che poi è il classico pick up col tettuccio che conosciamo bene.
 
Due ore di viaggio. Albeggia. La gente sul camioncino mi guarda fisso. Piano piano il camioncino si riempie fino a scoppiare. Io sto già scoppiando di sonno, mi addormento un paio di volte in posizioni improbabili, nonostante gli scossoni.
Non so più er ghepardo de na vorta.
Alla fine alle 8 circa smonto dal bus. E mi si rompe le zaino. Spalluccia sinistra andata. Impreco e nello stesso tempo sorrido al conducente, che mi chiede da dove vengo.
- Itali
- oh, itali
Chiedo - Du iu noo uere "uinner" ghestaus is?
- ies, iu ualch dis uei. - indica.
Grazie. Mi incammino.
 
Faccio nemmeno 100 metri e una del negozio che affitta bici mi chiede - iu uant a baich?
- No, rispondo, - ai uant uinner ghestaus. - oh, dice. Uinner ghestaus so far. 4 chilomitres.
Accipicchia, dico io. Arigrazie, entro nel "food centre" là di fianco, ordino un the e una piadina con i ceci. Colazione.
 
Finisco, vado a cercare uno zaino. Giro nel mercato e ne compro uno che mi si sarebbe rotto il giorno dopo. Adesso è lacero. Troppo stanco per notarlo prima. Ho contrattato e anche li' ho recuperato qualcosa, ma rimane uno zainaccio pagato troppo.
E vabbeh.
Vado al centro informazione turisti, che nel fattenpo (sono le 8 ormai) ha aperto, gli chiedo dove sta la "uinner". Anche Nyaung U non è che sia poi una metropoli. Mi incammino. 200 metri e vedo la Pyinsa Rupa guest house.
Penso: vediamo se mi chiedono meno di 12 dollari a notte.
Chiedo - do iu hev a rum? Risponde - ies, ciu caind of rum, uit te fan is 10 dola. Dico - can iu elp mi uit autobus buking tu iangon e mount popa?
 
Dice di si. Affare fatto. Entro. Mi registro. Pago. Il tipo è simpatico, mi dice che c'è una via per entrare a Bagan (vicinissima, da qui) senza pagare il ticket di 15 dollari. Ci credo poco. Un altro tipo sul divano mi chiede se sono tedesco. - No, italian. - Oh, itali. Arindanghete. Si sta mettendo in bocca una strana cremina marrone. Chiedo cos'è. Medicina, dice "per far uscire l'aria dalla pancia". Chi sono io per tirarmi indietro? Assaggio la medicina. Sapore di menta, più dolce e salato insieme.
 
Forse tra un po' vado a terra morto. Forse sarà colpa della medicina.