mercoledì 28 agosto 2013

Mandalay e dintorni

Sto piano piano imparando ad utilizzare al meglio la mia videocamera, o almeno ci sto provando. Passeggiando per Mandalay mi sono lasciato andare a qualche scatto qua e là - così se tra i fidi seguaci c'è qualche fotografo magari mi può dare qualche dritta, che non fa mai male.
 
Il quartiere dove alloggiano i monaci, dove si può scampare - ma poco - al frastuono del traffico cittadino.
 
 
Strani giochi tardo-pomeridiani sulla riva dell'Ayeyarwady: ho provato a capire come funziona, ma dopo un po' ho dovuto lasciar perdere.

 
Padre e figlio giocano sul ponte della propria barca ormeggiata - e gli ultimi rientri prima della sera, dalla parte principale della città a una piccola isoletta sul fiume.
 

 
Mandalay è un ottimo punto di partenza per escursioni nell'entroterra, dato che si trova a pochi chilometri da molte piccole ma interessanti località. Per avere una buona visione dei dintorni si può salire sulla Mandalay Hill, cucuzzolo pieno di pagode, dove una lunga rampa di scale (da fare rigorosamente scalzi, trattandosi di un luogo sacro) porta ad una terrazza da cui si può lanciare lo sguardo nelle campagne.



Se ci si sposta verso sud si incontrano diverse località, tra cui le principali sono Amarapura, Sagaing e Inwa, l'unica che ho potuto visitare: si tratta di una isoletta, più volte eletta a capitale del Regno nei secoli passati. Ci sono le antiche mura difensive e diverse rovine di antichi siti religiosi ormai dismessi, che danno all'atmosfera in generale molto naturalistica quel tocco in più.

 
Se non si fa troppo caso ai molti turisti la visita è molto interessante: si può prendere una specie di calesse e farsi portare in giro, ma io ho cocciutamente camminato per non so quanti chilometri sotto il sole - cosa che, superati i primi cinquecento metri di pantano, è stata abbastanza fattibile, anche se sono arrivato a fine giornata distrutto.
 
A parte il motorino, o il taxi, il modo migliore per spostarsi da quelle parti è il pick-up, un minuscolo autobus dotato di tetto. Questi mezzi si riempiono SEMPRE di persone, di conseguenza è molto facile finire a viaggiare in piedi, aggrappati a qualche sbarra di ferro sul retro o, esperienza assolutamente da non perdere, sullo scomodo tetto: in questo caso bisogna stare attenti a schivare le fronde degli alberi, se non si vuole una ramosa sberla in bocca. D'altra parte è il modo migliore per godersi un po' di aria e ammirare il paesaggio insieme ad un improvvisato compagno di viaggio.
 
 
Durante il viaggio a nord, verso il villaggio di Taungbyone (dura circa un'ora, se si è fortunati e non si trova traffico) ci sono numerosi punti di ristoro improvvisati, dove viene offerta acqua, frutta fresca e betel. Il festival omonimo che si tiene nel villaggio, ogni anno alla metà di agosto, ha molti caratteri che farebbero pensare ad una specie di carnevale: dunque qualcuno, accordandosi alla generale atmosfera, offre anche whiskey.
 
 
Nei giorni del festival il piccolo villaggio di Taungbyone si trasforma in un gigantesco mercato intorno agli edifici principali: la folla è tantissima, il caldo soffocante, il caos regna sovrano, le bancarelle vendono letteralmente di tutto.
 

 
Scopo principale del festival è l'omaggio verso due spiriti, i fratelli Taungbyone, tragicamente morti nei pressi del villaggio qualche centinaio di anni fa. Nei pressi dell'edificio principale, dove sono contenute le statue degli spiriti, le persone offrono ai due fratelli il loro tributo di frutta accompagnando con danze e strepiti la musica che esce come frastuono dagli altoparlanti.
 
 
 
Trattandosi di un festival religioso a tutti gli effetti, la celebrazione attira tutti i medium (nat kadaw) del Paese, i quali vengono qui per partecipare alle danze rituali. Dato che molti dei medium di sesso maschile sono omosessuali, il festival diventa anche l'occasione per "ladyboys" vari di lasciarsi andare. Il video l'ho ripreso aggirandomi tra la folla, dove un gruppetto di giovani "travestiti" particolarmente agitato mi ha subito notato: al termine della ripresa sono stato più volte sbaciucchiato.
 
 
 
La maggior parte dei locali cui "confessavo" che stavo andando al Taungbyone mi ha più e più volte sottolineato di "stare molto attento ai gay", visto che io rappresento un (testuali parole) "bocconcino esotico" - ma, escludendo i bacetti di cui sopra, i più si sbilanciavano al massimo con un rumoroso "hello" accompagnato da un battito di ciglia.
 
A Taungbyone ho ritrovato il mio amico medium U Win Hlaing: a quanto pare è un nat kadaw importante e conosciuto, dato che il suo alloggio è decisamente molto grande (alcuni medium hanno solo una stanzettina minuscola dove dormire e niente di più); inoltre ha un padiglione privato dove viene messo in atto il rituale, con danze e musica. Nelle foto un momento della preparazione - e nel pieno della celebrazione, mentre versa whiskey in bocca a uno dei convenuti.
 

 

Sfortunatamente ero troppo distante per approfittarne.
 
Domani rientro a Yangon, l'ultima settimana l'ho passata a Bangkok per burocrazie varie.

martedì 20 agosto 2013

l'etnomusicologo e l'autobus

Ho passato i primi giorni a muovermi solo con i taxi, spendendo non pochi spicci locali. Questo era dovuto al fatto che, non sapendo dove e come fossero i posti che dovevo raggiungere - ed essendo questi posti spesso fuori dalle comuni mete turistiche - temevo ovviamente di perdermi. Quando ho riportato questo sconsiderato scialacquo, mi è stato giustamente detto: "e perché non prendi l'autobus, che è (molto) più economico?".

Perché.
Perché "prendere l'autobus" a Yangon non è proprio facile facile:
- devi sapere dove andare per trovare la "fermata", che tra l'altro non è segnalata praticamente mai;
- devi riuscire a riconoscere il numero dell'autobus;
- devi sapere in che direzione andare, quantomeno destra-sinistra o nord-sud, per poter salire sul mezzo giusto;
- ... e aiuterebbe anche conoscere la lingua. I controllori sono quasi sempre ragazzi che, sporti dalle porte aperte degli autobus ancora in movimento, urlano le destinazioni ai passanti sul marciapiede, come se fossero dei bancarellari che vendono la propria roba:


Ormai comunque ho preso confidenza con i mezzi pubblici, riesco a far capire dove devo andare al chiassoso personale di bordo, e vengo avvisato per tempo quando è il momento di scendere.

Ovviamente l'inconveniente è sempre dietro l'angolo - come stamattina all'alba quando, tornando dalla stazione delle corriere da e per Mandalay, il mio autobus cittadino ha pensato bene di rompersi, lasciandoci tutti a piedi, costringendo a stiparci in un mezzo molto più piccolo.

Tra le cose interessanti c'è da segnalare il fatto che su ogni autobus si possono trovare disegni/foto del Buddha proprio sopra la cabina del guidatore, immagino per scongiurare il famoso ritornello "e se famo l'incidente...":


Tra i punti oscuri che mi piacerebbe chiarire, però, quello che non si batte è l'aver trovato dentro la carrozza dell'autobus "Abì Bdì" (si chiama proprio così) la cartina con le fermate del 103 di Seoul (South Korea, chiarissimo se si ingrandisce l'angolo in basso a sinistra):


E dato che si è in tema, continuo con i trasporti: tra le principali "attrazioni" di Yangon c'è la "Circle Line", che consiste in pratica nel viaggiare intorno tutta la città, arrivando anche nelle regioni a nord più agricole (quindi esattamente all'opposto della Downtown di Maha Bandoola Rd.), per appena un dollaro, o giù di lì. Il viaggio dura qualcosa come tre ore, ma tre ore seduti, con arietta fresca, e con sempre qualcosa a movimentare il viaggio, come il mercato sulle rotaie...



...che, più o meno a metà tragitto, si trasferisce DENTRO al treno, con l'ovvio risultato che si viaggia circondati da ortaggi di tutti i tipi stipati in enormi bustoni che la gente che non fa che spostare continuamente.

 
Durante il viaggio poi abbondano i venditori di qualsiasi cosa: patatine, bibite, betel, ananas, roba fritta di ogni tipo, e non mancano nemmeno i matti locali che ti guardano e ridono. Per il fatto che, a quanto pare, ogni tanto il treno semplicemente inverte il senso di marcia, tornando lento e dondolante per lo stesso percorso fatto all'andata, piuttosto che completare il giro, i locali non usano la "CL" come un vero e proprio "mezzo pubblico".
 
Il primo giorno che sono arrivato, ignaro di tutto, il tassista mi ha fatto il prezzone, aumentando di ben 10 dollari il prezzo della corsa: ora che lo so, sento ancora di dover espiare, per quei 10 dollari.

giovedì 15 agosto 2013

Myanmar, gente e politica

Qualche tempo fa, un compagno di dormitorio di Yangon che fa l'insegnante di inglese da queste parti ha segnalato il seguente articolo, "Myanmar is not for pussies".
 
Ora, non me la sento di dare un giudizio, dato che il mio è (ancora, più che altro) il punto di vista del "traveller" o del "tourist". Ma quelle due o tre volte che ho contatto i locali per avere informazioni, suggerimenti o aiuti materiali non mi è sembrato di riconoscere quanto scritto nell'articolo.

Tutto questo per introdurre un discorso un po' "peso", ovvero il mio rapporto con la gente di qua. Spesso amici dell'università, tornati da viaggi in luoghi più o meno remoti del Sud-est asiatico, raccontano di locali che trattano i bianchi con particolare considerazione, quando non con vera e propria adorazione. Non è quello che vedo qui. Qui vedo tanto rispetto per gli altri, tanta voglia di mettersi a disposizione anche se non ci si conosce, e una gentilezza che in Occidente è davvero impossibile da trovare - ma c'è anche orgoglio, e parecchio. La gente mi sembra sveglia e consapevole, e soprattutto priva di un qualsivoglia complesso di inferiorità.
 
Ho confrontato questa idea anche con altri viaggiatori, e ho trovato conferma. Si è anche abbastanza d'accordo nell'attribuire tutto ciò al fatto che questa gente ha visto davvero tante (brutte) cose - e non venti anni fa, ma giusto l'altro giorno - e che negli ultimi quattro-cinque anni sta vedendo cambiare il proprio Paese ad una velocità straordinaria.
 
Rimango sul vago perché aprire un discorso sulla situazione sociale, economica e politica della Birmania nel 2013 sarebbe davvero troppo. D'altra parte, c'è già chi lo ha fatto anche meglio di me. Lascio delle opzioni, fate vobis.
 
Se volete leggere una cosa veloce ma seria, allora il mio diario birmano è la cosa adatta per capire com'erano le cose in questi ultimi anni di cambiamento.
 
Se volete vedervi un film storico-biografico ma strappalacrime, allora The Lady è perfetto.
 
Se proprio non c'avete ritegno, c'è l'ultimo film di Rambo.

the road to Mandalay

Qualche notizia dal nord del Paese. Abbandonati i mercati cinesi di Yangon per raggiungere Mandalay, ultima capitale del Regno prima del "British Rule", sede del Palazzo Reale e città decisamente più rurale rispetto alla sua controparte meridionale.
 
Sto facendo un po' il turista: giro di qua e di là, senza una meta precisa, camminando per ore alla perduta, e vedere dove mi porta il reticolo di strade. Un paio di volte sono stato sorpreso dalla pioggia, che da queste parti sembra sia abbastanza rara, anche nel periodo monsonico:


Ogni tanto invece si incappa in scene del genere: il gioco è una specie di pallavolo, ma si gioca con i piedi. La palla è fatta di vimini ed è MOLTO dura. L'ho presa di testa, l'altro giorno, e fa veramente male. I ragazzi di qua ci giocano scalzi, ovviamente, e sono pure decisamente bravi.


Dietro il campo si intravede una pagoda, dovrebbe essere (se ho capito bene) la Kuthodaw Pagoda, nota anche come "Il libro più grande del mondo", contenente tutto il canone buddhista in poco fruibili stele. Risparmio le foto, anche perché non riuscirebbero a rendere il colpo d'occhio su tutte le varie edicolette.

Il motivo per cui sono venuto qua, turismo a parte, è il Taungbyone festival, che inizia domani. Ho già fatto un giro di perlustrazione, e non c'erano per niente stranieri. Tutti i bambini volevano che facessi loro delle foto:



Da notare le facce serissime dei ragazzi, sfoggiate esclusivamente per la foto. Le bambine, un po' più "sciolte", si stanno bevendo una granita al super-colorante che con il caldo che fa da queste parti è decisamente popolare.

Magari nei prossimi giorni carico qualche foto del festival e anche dei dintorni campagnoli, che oggi sono andato girando.

domenica 11 agosto 2013

a day in the life

Inizio una serie di interventi, "a day in the life" (cit.), riguardanti tutte quelle attività che mi impediscono di aggiornare regolarmente questo blog - come qualcuno non fa che ricordarmi. Quindi, cara Lonely Planet, aspetto una retribuzione per questo lavoro di aggiornamento della tua inutile guida, le cui informazioni sono parziali, quando non errate o stravolte.

Con l'occasione ho messo anche cose ormai vecchie di un paio di settimane.
Esistono diverse occasioni in cui la città mostra il suo volto più moderno. Ad esempio, un po' di tempo fa c'è stato il concerto degli IRON CROSS, popolarissima rock-punk-pop-metal birmana, il cui repertorio consiste per la maggior parte in cover tradotte in birmano dei grandi successi occidentali, più o meno recenti (questa delle cover tradotte è una mania, tra l'altro: oggi sull'autobus c'era "La isla bonita" in birmano).

Nonostante la severa e decisamente poco rassicurante presenza di un cordone di polizia davanti al palco (nella foto non si vede, ma c'è), si è trattato di un concerto in piena regola: riflettori, fumo, super-assoloni (alla maniera "AC/DC" per capirsi), roba che sicuramente non pensavo di trovare. Nonostante fosse previsto che tutti restassero seduti (c'erano sedie anche sul parterre) si sono creati i soliti capannelli di scalmanati a petto nudo. Nel corso delle quasi quattro ore ininterrotte di live (!) il fomento iniziale non è venuto meno, come dimostra la foto del fan medio, ancora scapocciante nell'ultimo giro di canzoni.


Nonostante non sia un fan sfegatato del rock più "classico" (dicitura che, a mio parere, ha pure poco senso) è stato decisamente impossibile non farsi trascinare da tutto quell'entusiasmo: non che mi sia gettato nella mischia, ormai ho una certa età - anzi, ce l'ho da parecchio - ma, come dire, tutto era molto spontaneo. Non so se rendo l'idea.

Ancora, un altro spettacolo musicale, questa volta di ambientazione più borghese e, sempre secondo il mio modesto parere, decisamente meno spontaneo. Ambientazione, la sala del prestigioso Inya Hotel: "4th Classic Meets Jazz", organizzato da una scuola di musica locale, voleva essere il classico evento dove i due "opposti" si toccano. Il jazz viene tenuto per ultimo, con il risultato che la maggior parte della gente se n'è andata via prima del tempo, e il tutto ha preso un po' la forma di un saggio di musica. Amen. Solita sterile faida "classic vs. jazz", che non porta da nessuna parte.



Ultima cosa, si torna su lidi più tradizionali. Negli ultimi due giorni al National Theatre ha avuto luogo un importante zat pwe: uno spettacolo di zat pwe dura in media tutta la notte, fino alle prime luci del giorno successivo, e vede diversi spettacoli - commedia, danza tradizionale, opera, canto, cabaret. Questo evento in particolare sta ricevendo molta attenzione dai media: si tratta di uno spettacolo messo in piedi dai figli del leggendario attore/ballerino/cantante U Shwe Man Thabin, per gli ottant'anni dall'inizio della sua carriera. Si sono alternati spettacoli tradizionali, musiche più moderne (oltre all'orchestra tradizionale hsaing waing c'erano anche batteria, basso, chitarra, tastiere...) e spettacoli ancora inediti, tirati fuori per l'occasione dall'archivio di famiglia, finora rimasto chiuso per problemi di censura.
 

Il filmatino (girato alle intorno le 4:00 am) è dai backstage, dove sono riuscito a intrufolarmi grazie ad un'amica. E' divertente vedere come le complesse e pesanti macchina da scena, le ampie scenografie con foreste, animali e tutto il resto siano messi in azione non da servomeccanismi, ma da una turba apparentemente disorganizzata di giovanissimi tecnici: per esempio, nel filmato è tutta la scena a girare, spinta su delle ruote, non sono io che mi sposto.


Purtroppo, alle 4:30 la stanchezza ha avuto la meglio e mi sono ritirato. Sul palco continuavano a ballare, cantare e suonare. C'è da dire che, nonostante non capissi nemmeno una parola, quelle dieci ore sono praticamente volate.

Oggi parto per Mandalay. Non so se avrò la connessione, tra l'altro.

sabato 3 agosto 2013

pillole di etnomusicologia

Qualcuno mi ha giustamente ricordato che nel brutto brutto brutto mondo in cui viviamo non mancano certo le occasioni in cui colleghi di studio si appropriano delle tue idee/ricerche, rivendendosele come proprie.
 
Nonostante questo presupposto sia molto vero, il mercato del lavoro dell'etnomusicologia non è poi questo mare pieno di squali. Inoltre, avere due (o più) teste che lavorano allo stesso argomento non necessariamente rappresenta un male, e non sempre significa dire le stesse cose, anzi: moltiplicare i punti di vista è spesso utile.
 
Ecco dunque un assaggio di quello che sto portando avanti da queste parti: 
 

La registrazione è stata fatta a casa di un Nat Kadaw ("medium") di Yangon (che ha pure un sito internet), durante un rituale propiziatorio/spettacolo (pwe) degli/per gli spiriti locali (Nat). Quello che si vede è una minima parte dell'ampia orchestra tradizionale (Hsaing Waing) che accompagna la lunga cerimonia.

 
 

 
Non inserisco altro, che solo per questo ci ho messo una vita.