Ancora
una volta ho seguito la mia orchestra di musicisti e il medium U Win
Hlaing in giro per il Paese. Questa è stata la volta del Monte Popa,
sorta di Olimpo birmano dedicato agli spiriti locali, più o meno nei
pressi di Mandalay. Questo festival era però dedicato agli
alchimisti locali (weikza), gente che ha trovato il modo di
prolungare la durata della propria vita in attesa della venuta del
futuro Buddha. Unito al culto animistico dei Nat, come sempre
celebrato con musiche e danze di cui mi sto interessando, ci si può
fare un'idea del sincretismo religioso che si respira da queste
parti.
Il
villaggio di Popa (traducibile, da quanto ho capito, più o meno con
"fiorito") si sviluppa intorno alle pendici dell'omonimo
vulcano, ora parco nazionale. Negozi, ristoranti, e ovviamente
amplificatori con la musica a tutto volume. Nelle strade
confusione e continuo viavai di gente, nonchè scimmie. Scimmie
ovunque.
Salendo
si accede al santuario dedicato ai Nat: immagini del Buddha e di questi spiriti si mischiano con persone che salgono lentamente le scale, incuranti
dei rumorosi e improvvisi salti delle scimmie sui tetti di lamiera, i quali offrono senza troppo
successo una tregua dal caldo opprimente. Dalla
cima si gode un'ottima vista dei dintorni boscosi e montagnosi, si
sente la musica salire dalla valle e rimbalzare sui fianchi della
montagna.
Impossibile
non fare anche una visita alla vicina Bagan, il sito archeologico più
importante della Birmania: si tratta di una valle piena di rovine di
templi buddhisti, risalenti più che altro ai tempi d'oro della
monarchia (12-13 secolo d.C.), eretti dai re al fine di maturare
"merito" (e rallentare dunque la corsa delle
reincarnazioni) e distrutti da invasioni mongole, terremoti e
generale incuria.
Nonostante
l'antichichità, Bagan è un sito religioso attivissimo: persone
recano omaggio al Buddha nei templi principali, dove è possibile
notare una certa presenza turistica; ma abbondano ovviamente anche
templi un po' più dimessi – ma non per questo meno grandiosi –
dove si può stare in pace a sopportare il leggendario caldo
ustionante. Girando in bicicletta nella pianura sono riuscito anche a
trovare questa pagoda con un buco nel muro, e ovviamente mi ci sono
infilato, arrampicandomi sulla parete esterna, armato di torcia elettrica. Era
pieno di pipistrelli. Per qualche minuto mi sono sentito un po'
Indiana Jones.
Andando
qua e là ho incontrato anche dei ragazzi birmani più o meno della
mia età: si stavano esercitando con la tradizionale arpa (saung), ho
sentito la musica e mi sono aggregato a loro per un paio di giorni.
Mi hanno presentato il loro maestro e ho anche potuto registrare un
paio di canzoni. Il posato ed elegante repertorio della musica "da
camera" della corte birmana, in cui l'arpa svolge il ruolo
principale, è decisamente distante dalle rumorose e percussive
sonorità dell'orchestra di tamburi e gong dei rituali per i Nat. Un
altro esempio di quanto la cultura di questo Paese sia affascinante e
complessa.
Quattro
giorni di relax, dunque, e non che non me li sia guadagnati. A onor
del vero, riporto anche la cronaca del mio turbolento arrivo in
questi lidi.
Sono
arrivato alle 3 del mattino a Kyauk Padaung, che la mia famiglia
adottiva mi aveva assicurato essere una città. Invece è poco più
di un villaggio, due strade in croce e su una c'è la fermata del mio
autobus notturno. A momenti rischio pure di non scendere, dato che mi
aspettavo di arrivare in un posto decisamente diverso.
Scendo, addento famelico il mio panetto dolce al burro, preventivamente acquistato. Il tipo dietro al bancone che registra gli arrivi mastica un po' di inglese, gli chiedo se conosce un posto dove posso dormire. Ce n'è uno, chiama, ma è tutto pieno: c'è il festival al Monte Popa (vicinissimo con il bus, motivo per cui volevo dormire in questo villaggio), quindi tutto esaurito. Fa un altro paio di chiamate, ma niente. A un certo punto un tipo ha una brillante idea: voglio dormire in un monastero? Ovviamente la risposta è si. Monto su un mototaxi e vado. Già pregustavo il ritmo di vita monastico.
Invece niente, per qualche motivo al monastero non ci posso dormire. Torno indietro, nelle mani dei tassisti, che mi dicono che per 5000ks mi portano in un hotel dove posso dormire per 5 dollari. E proviamo, dico io. Mezz'oretta di taxi nella notte, in mezzo a strade buie, piene di buche e curve. C'è stato anche un non poco chiaro cambio di taxi (mi hanno fatto scendere da uno e salire su un altro), a un certo punto ho pure inziato a sospettare cose brutte. Eravamo in mezzo al nulla totale. Freddo. Stanchezza. Invece questo mi porta all'hotel.
Super hotel. Stanze da 50 e 100 dollari. Non se po' fa. Già che ci sto, approfitto della disponibilità del receptionist e faccio chiamare un altro hotel: stessa storia, stanze da 95dollari. Dato che sembra non esserci modo di dormire a Kyauk Padaung o a Popa, opto per il piano b: abbandonare il paesino e andare nella città segnalata da Lonely Planet, Nyaung U. Per sicurezza prima faccio chiamare dall'hotel alla "Winner" guest-house, e "prenoto", 12 dollari a notte e nessuna idea di dove questo posto sia.
Baibaitenchiu.
Rimonto sul taxi, si ritorna a Kyauk Padaung, destinazione: fermata del bus, perchè Nyaung U è lontano, e in mototaxi costa davvero troppo. Stessa strada al contrario, sono le 4 di mattina ormai.
Tornati, e il tassista vuole 10000ks invece di 5000 perché – sostiene - mi ha pure riportato indietro. Come se lui avesse intenzione di dormire all'hotel. Mi altero un pochino, faccio notare che sono stanco, ho sonno, non ho ancora un posto dove stare nonostante i vari consigli, e la tariffa del ritorbo scende a 2000ks. Pago, basta che la finiamo. Una volta pagato il tassinaro diventa il mio migliore amico, mi fa vedere dei video musicali, aspetta il bus con me. Dice che passa alle 5. Alle 5 e un quarto lui se ne va, io aspetto con altre due persone. Rischiara. L'autobus passa alle 6, si ripresenta il tassinaro che mi da una mano (abbastanza inutile) a prendere il bus, che poi è il classico pick up col tettuccio che conosciamo bene.
Due ore di viaggio. Albeggia. La gente sul camioncino mi guarda fisso. Piano piano il camioncino si riempie fino a scoppiare. Io sto già scoppiando di sonno, mi addormento un paio di volte in posizioni improbabili, nonostante gli scossoni.
Non so più er ghepardo de na vorta.
Alla fine alle 8 circa smonto dal bus. E mi si rompe le zaino. Spalluccia sinistra andata. Impreco e nello stesso tempo sorrido al conducente, che mi chiede da dove vengo.
- Itali
- oh, itali
Chiedo - Du iu noo uere "uinner" ghestaus is?
- ies, iu ualch dis uei. - indica.
Grazie. Mi incammino.
Faccio nemmeno 100 metri e una del negozio che affitta bici mi chiede - iu uant a baich?
- No, rispondo, - ai uant uinner ghestaus. - oh, dice. Uinner ghestaus so far. 4 chilomitres.
Accipicchia, dico io. Arigrazie, entro nel "food centre" là di fianco, ordino un the e una piadina con i ceci. Colazione.
Finisco, vado a cercare uno zaino. Giro nel mercato e ne compro uno che mi si sarebbe rotto il giorno dopo. Adesso è lacero. Troppo stanco per notarlo prima. Ho contrattato e anche li' ho recuperato qualcosa, ma rimane uno zainaccio pagato troppo.
E vabbeh.
Vado al centro informazione turisti, che nel fattenpo (sono le 8 ormai) ha aperto, gli chiedo dove sta la "uinner". Anche Nyaung U non è che sia poi una metropoli. Mi incammino. 200 metri e vedo la Pyinsa Rupa guest house.
Penso: vediamo se mi chiedono meno di 12 dollari a notte.
Chiedo - do iu hev a rum? Risponde - ies, ciu caind of rum, uit te fan is 10 dola. Dico - can iu elp mi uit autobus buking tu iangon e mount popa?
Dice di si. Affare fatto. Entro. Mi registro. Pago. Il tipo è simpatico, mi dice che c'è una via per entrare a Bagan (vicinissima, da qui) senza pagare il ticket di 15 dollari. Ci credo poco. Un altro tipo sul divano mi chiede se sono tedesco. - No, italian. - Oh, itali. Arindanghete. Si sta mettendo in bocca una strana cremina marrone. Chiedo cos'è. Medicina, dice "per far uscire l'aria dalla pancia". Chi sono io per tirarmi indietro? Assaggio la medicina. Sapore di menta, più dolce e salato insieme.
Forse tra un po' vado a terra morto. Forse sarà colpa della medicina.